
Cari amici,
settembre 2021, prossimo ai miei 93 anni, è anche il momento della nascita del mio piccolo Museum che raccoglie il mio lavoro di trent’anni dedicati all’arte dopo una vita vissuta con passione nella moda come giornalista e creatore di giornali di moda.
Da sempre ho considerato la moda non con un’ottica consumistica, ma come testimonianza della nostra vita nel tempo in cui viviamo. Come espressione di noi stessi, come mezzo per comunicare chi siamo o chi vorremmo essere, come creatori responsabili della nostra immagine.
A 60 anni ho rinunciato al lavoro che avevo tanto amato e che mi aveva donato tanto successo per chiudermi nel mio studio non per fare l’artista come le gallerie si aspettavano, ma per fissare quello che la moda è stata per me. Il cambiamento che ha creato nel tempo dentro di noi e intorno a noi. Non solo frivolezze e denaro. Cambiamenti epocali. Che non sono stati per tutti rapidi (il mondo è complesso e le culture molto diverse).
Ho cominciato a riflettere sull’impegno di tanti creatori di moda, di tanti operatori e di tanta gente che per una ragione o per l’altra si sono dedicati e sono stati coinvolti e presi dal fenomeno moda. Un fenomeno che ti travolge, ti imprigiona, ti divora. Mi piacerebbe fare tanti nomi e raccontare le loro storie, ma mi dilungherei troppo. Sono stati a loro volta “artisti” e artefici dei mutamenti sociali.
Il VESTITO, come il corpo umano, nell’arte ci dice molto. Ci porta nel passato, ci evoca ricordi, ci emoziona. E’ cultura, conoscenza, vita di ieri e di oggi.
Per me il vestito femminile è diventato perfino un totem, una divinità, un simbolo, un monumento da posare nelle piazze delle città. Altre volte l’ho trattato come un’opera ludica, un giocattolo. In altri momenti, con gli occhi di un bambino, ho visto la faccia truccata della mamma per una copertina di Vogue farsi bassorilievo. Un top è diventato un’opera grafica. Altre volte mi sono immaginato come un artista di land-art per far ammirare i particolari di un vestito plissé. Ho usato il digitale per elaborare immagini di lontane culture ferme nel passato condizionate da tradizioni e religioni. E molto molto altro.
Credo di essere stato fedele ai principi che sentivo nel momento in cui ho aperto il mio atelier. Dovevo “mettere a nudo” come disse Duchamp i contenuti del vestito. Anzi, far diventare il vestito stesso opera d’arte.
Flavio Lucchini
(nella foto con il designer Karim Rashid)
