









Antologica 1990-2010, Art Point Superstudio Più, via Tortona 27 Milano, (con)TemporaryArt 22-30 Marzo 2010.
Nell'ormai lungo cammino nella moda, vissuta prima dall'interno come art director creatore di grandi testate femminili, all'arte pura poi sviluppata in solitudine nel suo atelier, Flavio Lucchini ha rivisitato a modo suo tutti i significati dell'abito, involucro che cela , oltre al corpo, anche l'anima della donna. Oggi, con un libro scritto insieme a Luca Beatrice, e con una mostra curata dal critico in collaborazione con Gisella Borioli, si fa il punto sui già ventanni della rinascita di Lucchini come artista. La mostra dal titolo "The Vogue lesson" racconta nei vari "capitoli" (gli stessi del libro "From Fashion to Art: the Vogue lesson", Skira editore) quanto l'influenza di quella esperienza abbia profondamente inciso sulla ricerca etica e estetica dell'artista. Un evento che partecipa al circuito (con)TemporaryArt 2010.
COME UN RAGAZZO. "Da tempo si discute se la moda possa essere considerata una forma d’arte. Questione complessa, di non semplice soluzione. Bisogna intanto distinguere, mettendo da una parte i grandi stilisti che hanno cambiato, di fatto, la storia del fashion, e dall’altra quei geniali creativi che probabilmente sarebbero riusciti a incidere nella cultura anche se avessero praticato altri linguaggi. La prima categoria è davvero ampia, la seconda ben più ristretta. Qui, invece, si racconta una storia diversa. La vicenda di un personaggio, di un intellettuale, che ha contribuito in maniera decisiva a “fare” la storia della moda e dell’editoria di moda e che, in età non più giovanissima se consideriamo per buono l’anagrafe, ha saltato la barricata e si è reinventato come artista. Per Flavio Lucchini qualsiasi approccio all’arte è imprescindibile dal corpo. Ne costituisce il modello e l’unità di misura, il contatto con la realtà e il suo superamento. Tutte le sue sculture, dalle più piccole fino alle gigantesche, rispettano le proporzioni della figura umana che indossa un vestito, un abito, una copertura. Prima di essere totem, idoli, rappresentazioni simboliche sono dunque corpi. Le sue sculture, così le definiamo in quanto oggetti tridimensionali, sono particolarmente sessuate, il loro modello di riferimento è femminile, ne segue curvature, forme, angolazioni. I precedenti illustri nella storia, la Colonna infinita di Brancusi e i personaggi fantastici di Max Ernst, l’africanismo di Picasso e i totem, gli idoli africani che lo ispirarono. Quando pensa a un colore, Lucchini sceglie il bianco, colore della “sua” Milano, quella di Fontana, Manzoni, di Azimut. Da una parte dunque la fantasmagoria visiva, il gioco simbolico, l’antropomorfismo (femmina), dall’altro il bisogno di chiarezza, sintesi, essenziale, pulizia formale per spiegarci che l’opera, per esistere, deve comunque andare a percorrere la strada dell’arte concettuale. Le definizioni spaventano. Non un ragazzo, non Lucchini. Sarà anche quello spirito di eterno fanciullo, che non conosce paure in favore della scoperta, a farne un insaziabile conoscitore di tecniche e materiali. Ogni sua invenzione nasce da una genuina matrice necessaria e, per certi versi, unica vera linfa vitale dell’universo creativo in generale: la curiosità intelligente con la quale osservare il mondo. La curiosità, fanciullesca diciamolo, detentrice unica di immaginazione e freschezza espressiva. In nome di una componente sempre giocosa, anche quando critica o trasversalmente denunciataria – la lunga fila di donne in burqa, altra faccia di una divinizzazione femminile tutt’altro che gratificante – Lucchini chiama a sé l’ironia per parlare dei riti e dei miti della moda. Formatosi come architetto, Lucchini ha poi scoperto il design, la grafica, la moda, e infine l’arte. Metro di misure estetico sempre lei, sempre la donna, vero leitmotiv di un iter progettuale che ha coniugato le discipline nella restituzione di un’immagine calibrata sulla figura femminile, sempre. L’austerità di un corpo alto e snello – i Totem - o le curve sinuose che dettano le linee morbide dei Dress Memory. Come fashion editor e art director prima e come artista adesso. La donna, intravista sotto corazze di piombo e bronzo, la donna-bambina che ammicca nell’ironia delle Dolls, la donna accarezzata sotto il candore di memorie bianche e virginali. E ancora in quegli sguardi, impossibili, che vedono pur non essendo visti. La donna è sempre seduzione. Principio estetico. Feticcio da ammirare e da cui farsi affascinare".
Luca Beatrice









